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domenica 18 marzo 2012

Uno strumento della Musica

Marco Mengoni, Sarah Jane Morris e Giovanni Sollima - Teatro Valle Occupato




... Si fa musica
 con gli occhi,
con il corpo,
con l'espressione

del volto.
Si fa musica ascoltando,
si fa musica giocando...






Non esistono luoghi al mondo in cui non soffi un alito di vento, nei quali l'aria sia assolutamente ferma, immobile, statica. A noi può sembrare forse, in giornate di pesante calura, ma anche allora c'è scambio correnti tra l'alto e il basso dell'atmosfera. Allo stesso modo non c'è persona al mondo in cui non risuoni una nota di musica, in cui un ritmo, una melodia non trovino spazio per esprimere un'emozione.

Nasciamo al ritmo del cuore che ci ospita e viviamo poi al ritmo del nostro metronomo naturale che rintocca pressappoco al tempo che abbiamo definito minuto secondo.
Viviamo musica, respiriamo musica attraverso le frequenze dei colori, la velocità e il tono del linguaggio, il battere delle nostre palpebre. E ne abbiamo sempre bisogno, è come l'acqua che placa un sete dell'anima, che senza di essa può seccarsi e morire perché non ha più il mezzo per esprimersi in modo immediato, spontaneo, comprensibile a tutti.

La musica non è un'arte, una tecnica da apprendere e da perfezionare, o almeno, non è solo quello. Ieri al Teatro Valle durante una straordinaria serata che ha visto alternarsi sul palco artisti della più varia provenienza, il maestro Enrico Melozzi ha riproposto un messaggio che già qualche decina di anni fa irrompeva nell'ultraconservatore mondo musicale italiano: “Chiudiamo i Conservatori, aboliamo il solfeggio!”
Certo non è abolendo l'alfabeto che ci si libera dai condizionamenti del linguaggio, ma la provocatoria frase creava un piacevole scompiglio in chi si sentiva intimidito a trovarsi in un teatro così ricco di storia, nel quale hanno suonato Mozart e Rossini (intendendo gli individui e non le loro opere) e in cui i 100 violoncelli – ed i loro cooperanti umani, i violoncellisti – convocati dal mestro Giovanni Sollima, dopo una non facile sistemazione logistica creavano straordinarie prospettive sonore.

Fare musica non è fare sfoggio di bravura, non è arrivare alla nota più alta o più bassa, o stupire con la potenza di un acuto. Si fa musica con gli occhi, con il corpo, con l'espressione del volto. Si fa musica ascoltando, si fa musica giocando, si fa musica sapendo aspettare il momento giusto per emettere un suono, perchè quello che un attimo prima era presto, un attimo dopo può essere perfetto, per arrivare a riempire il vuoto che chiedeva quel suono.

Marco Mengoni non vuole esssere un virtuoso, anche se la sua voce gli permetterebbe di costruirsi una carriera solida e redditizia solo sui sontuosi vocalizzi della sua stupefacente estensione. Non gli interessa la cornice, la decorazione, l'artificio fine a se stesso. Vuole creare suoni, così come li creano i violoncelli: per loro stessa natura. Ed in ogni suono deve brillare un riflesso della sua anima, che sia il filo sottile e luminoso del finale di una canzone o la pernacchia irriverente ad un maestro che tutto il mondo ci invidia.

Sul palco del Valle c'era Marco con la sua voce, il suo violoncello invisibile, e c'erano artisti più noti e ricchi d'esperienza, ma accomunati dall'esigenza di creare armonie vere, necessarie e sincere per dare al pubblico la possibilità di vibrare insieme a loro e dissetarsi di musica. (mlml)



1 commento:

  1. perchè un suono senza l'anima di chi lo produce è solo un mero fenomeno acustico...e Marco, "con la sua voce, il suo violoncello invisibile", fa vibrare le nostre anime di tutta l'emozione che ci trasmette dal profondo del suo Essere...

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